martedì 31 marzo 2015

Esuli di spirito: Jean Rhys e Antoinette (Parte I)

Avete mai avuto voglia di scoprire quali storie si nascondano dietro le figure marginali di un quadro o di un libro? La curiosità spesso ha la meglio e ci si chiede insistentemente perché il pittore abbia ritratto il volto delizioso ma meditabondo di una giovane donna che non vuole davvero prender parte alle presumibilmente piacevoli conversazioni che la circondano. Non si può fare a meno di chiedersi: che segreto nasconde? A cosa sta pensando? Lasciando andare la fantasia a briglie sciolte si può creare di tutto, idealizzare e mitizzare una figura cucendosela addosso. E chi meglio di uno scrittore è capace di tagliare la realtà, intarsiarla e ricomporsela addosso, secondo le proprie forme?

È con quest'intenzione che la sottovalutatissima Jean Rhys, scrittrice britannica di origini caraibiche che visse i ruggenti anni '20 europei, ha finito per confezionare un vestito particolare a Bertha, la moglie “pazza” e rinchiusa dal tormentato Mr. Rochester, nel romanzo “Il grande mare dei sargassi”. Quest'opera le valse nel 1967 il WH Smith Literary Award, premio letterario inizialmente destinato a tutti gli scrittori della Gran Bretagna, dell'Irlanda e del Commonwealth - includendo così anche i contributi, altrimenti marginali, degli scrittori delle ex-colonie britanniche. Questo dato non è assolutamente indifferente perché sia Jean Rhys che Bertha Mason (il cui vero nome è Antoinette), come forse ricorderete da "Jane Eyre", sono visceralmente legate alle loro origini caraibiche. Bertha Mason si diceva, infatti, fosse una ricca ereditiera giamaicana che Mr. Rochester sposò per interesse economico e su pressione della famiglia che lo voleva redimere dalla sua precedente vita da libertino. 


Entrambe si allontanano dalla loro terra d'origine, per motivi tuttavia differenti (la Rhys per la propria formazione, Antoinette per il matrimonio combinato cui va incontro), e si ritrovano catapultate in una realtà che le tiene ai margini con indifferenza oppure le considera soltanto in funzione dei preconcetti che le riguardano. In ogni caso torna un tema cliché del Novecento: la perdita di radici, o rootlessness. La sensazione di sradicamento è tanto forte nell'intreccio quanto evidente nell'attenzione apprensiva con cui Jean Rhys dà spessore a Bertha, il cui vero nome è modificato dalla volontà del marito. L'autrice ricostruisce la sua storia senza finzioni (anche se nasconde tutto in un gioco di specchi sofisticato), facendo attenzione a non calcare la mano laddove fa più male perché, lo si può immaginare, si tratta anche della sua stessa storia. Cerca di non renderla vittima, perché altrimenti sarebbe come autocommiserarsi; allora non può che renderla un'eroina tragica, schiacciata dal peso di ben due società, quella giamaicana e quella inglese, di cui è entrata a far parte tramite il matrimonio con Mr. Rochester. Analogia non indifferente con l'autrice, di cui abbiamo pochi dati biografici ma essenziali: ambiziosa e intelligente, ha pagato caro il prezzo della propria libertà, finendo nella miseria più nera e nell'indifferenza della società parigina, certamente più moderna di quella ottocentesca ma pur sempre patriarcale, che la fece sentire sempre come un elemento di disturbo nello status quo. 

 L'eroina del romanzo è in sostanza una donna a cui hanno rubato dapprima la terra, la famiglia, il nome ed infine la libertà in un vortice sempre più soffocante di privazione e sacrificio in nome di stabilità economica e di convenzioni che finiranno per rivelarsi nulla, se non parole vuote. Un vuoto che non ha nulla a che vedere con la materia pulsante di cui è composta Antoinette: sensuale e indolente, tratteggiata nella sua concretezza inebriante, persa nei gesti quotidiani che tutti, sia bianchi che neri, fraintendono e piegano ai propri pregiudizi nel tentativo d'incanalarla in una voce che non è la sua. 

Emblematico è quindi che la sua disfatta avvenga quasi del tutto senza la sua voce: i pettegolezzi la anticipano, altri garantiscono o parlano indirettamente per lei. Anche quando lei ha la parola in realtà non ha il potere di cambiare l'opinione degli altri (di Mr. Rochester o di chicchessia) così fermamente convinti di aver scoperto la malizia di una donna alcoolizzata, lussuriosa e bugiarda. Un soggetto degno di essere punito nella società patriarcale della potenza imperialista inglese -tanto più che la nostra cara Antoinette è una creola giamaicana, discriminata tanto dai neri quanto dai bianchi, in quanto “negra bianca”, troppo ricca e ben vestita per essere nera, troppo spontanea e selvatica per essere una lady inglese. 

Verso l'epilogo, quando torniamo a sentirla, la sua voce s'è fatta ormai un sussurro incomprensibile, flebile e sibillino. Un delirio senza fine. È nella fantasmagoria che ci lascia senza fiato, mostrandoci come all'improvviso la sua vita, da sempre così scissa fra identità mai realmente conciliabili (la cultura inglese ed il suo “sentire” creolo, l'amore per la propria terra e la repulsione dei nativi neri, il denaro come mezzo di riscatto e il disgusto per il denaro che le toglie infine la libertà), abbia finalmente trovato una direzione inesorabile e tragica. È dal suo vestito rosso, dapprima amato da Mr. Rochester ed infine tacciato di “immoralità”, che si sprigionano le fiamme della disfatta – o forse della rinascita, come la cultura Voodoo credeva? 

P.S. Mi son lasciata trasportare dalle sensazioni che questa lettura mi ha suscitato. Mi sembrava un peccato buttar via anche questa bozza, stranamente conclusa dopo una decina di giorni di sconforto per la mancanza di mezzi espressivi per esporre quest'opera. Potrete trovare a breve (con: Parte II - Appunti di critica post-colonialista: Jean Rhys) la continuazione della mia riflessione su questo libro, di cui si potrebbe dire così tanto. Sarebbe per me un modo legittimo di consigliarlo in maniera chiara e lineare, soffermandomi anche sullo stile, oltre che sulle sue idee. Operazione estremamente difficile dal momento che la Rhys fa scivolare il lettore in un effluvio di sensazioni e colori che si sprigionano senza possibilità di soluzione.

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