domenica 4 agosto 2013

Lo strano mondo di... - Parte prima





Questa è una di quelle afose giornate in cui respirare non sembra possibile. Non me la sento nemmeno di giustificare la mia incostanza nei confronti di questo blog perché tanto si sa che non cambierebbe nulla. Nonostante la mia pigrizia però mi sento in grado di impiegare in maniera utile parte del pomeriggio (quando studiare è impossibile si cerca sempre di trovare altro da fare, giusto per dire: "Eh dai, in fondo ho combinato qualcosa oggi pomeriggio, non ho mica dormito!"). Le mie letture procedono a stento, perché fra lavoro e studio e vita sociale non mi rimane molto tempo da impiegare per i miei passatempi. Sì, non sembra decisamente periodo di vacanze, però fingiamo che lo sia.

Ho accanto a me un libricino che ho iniziato a leggere storcendo un po' il nasoperché l'autore mi era quasi del tutto sconosciuto (lo conoscevo di nome così come si conosce di nome Umberto Eco, senza che per questo un lettore medio-basso si inoltri nella lettura di una sua opera) e le recensioni che avevo letto sulle sue opere erano molto contrastanti (il che mi ha fatto pensare: o quelli che hanno scritto recensioni così positive sono degli pseudo-intellettuali snob che lo difendono a spada tratta perché va di moda, oppure quelli che hanno scritto recensioni così distruttive erano pressoché illetterati e non c'hanno capito niente dalla prima riga). 
Stuzzicata la mia curiosità, mi sono messa a spulciare tutte le pubblicazioni dell'autore, ho dato una lettura veloce alle trame e sono incappata nella lettura perfetta: Questa è l'acqua di David Foster Wallace. E' una raccolta postuma (composta da Einaudi per l'anniversario della morte, in giovane età, dell'autore) di sei racconti dai titoli interessanti: Solomon Silverfish, Altra matematica, Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta, Crollo del '69, Ordine e fluttuazione a Northampton, Questa è l'acqua (da cui il titolo della raccolta). Racconti che ha pubblicato in riviste letterarie, discorsi ed altri inediti: tutte le peculiarità del suo stile sono raccolte in questa piccola perla.

Prima di leggere ogni libro, di solito, mi preparo all'universo dell'autore leggendo la quarta di copertina ed i saggi di apertura e chiusura del libro. Avrei voluto fotografare la mia espressione del viso mentre leggevo lo stralcio: "L'infinito. Questo l'argomento del libro di D.F.W. sulla matematica, la filosofia e la storia di un concetto vasto, bellissimo, astratto. Nel libro ci sono riferimenti alla dicotomia di Zenone e alla congettura di Goldbach, al principio di massimalità di Hausdorff". Mi dico: "Ma che cosa sono andata a prendere? Cos'è questa roba?". Sì, perché la filosofia sarà pure bella, ma aspettandomi una raccolta soft di racconti (non di certo una lettura da ombrellone, però nemmeno una dissertazione filosofica) mi è venuto un mezzo infarto.
Decido comunque di iniziare, a mio rischio e pericolo, questa lettura così strana e dibattuta. Nel giro di un'oretta finisco le cinquanta pagine del primo racconto e rimango a bocca aperta, attonita. Atmosfera da film poliziesco ma che nulla ha a che vedere col poliziesco (se non per qualche personaggio losco ed alcune situazioni che rientrano perfettamente nei cliché del genere), immagini fosche ed un solo enorme sentimento messo alla prova.
All'inizio il finale mi lascia l'amaro in bocca, perché, come poi scoprirò con le successive letture, con quest'autore non c'è mai un punto fermo. La conclusione per lui corrisponde ad un punto e virgola, il messaggio traspare ma non esaurisce la narrazione, è come se rimanesse qualcosa in sospeso che costringe il lettore a chiedersi, sempre nel primo racconto: "Ma quindi chi era quello che...?" (anche se la risposta è irrilevante, dato che la risoluzione dell'enigma è secondaria rispetto all'essenza del racconto).
 David Foster Wallace costringe il lettore a cogliere la verità che sta sul fondo, lasciando i dettagli secondari a se stessi (nella vita in fondo cos'è importante: capire la profondità di un sentimento o svelare un apparente mistero?). Poi mi dico: magari sono io che non ho capito il finale, non sarebbe la prima volta dato che mi distraggo sempre facilmente. Rileggo qualche stralcio, cercando una risposta e la risposta non c'è perché non ci deve essere.
Questa sensazione di sospensione è presente in tutti i suoi racconti ma non è un difetto, come invece avevo pensato all'inizio della raccolta (soffermandomi sui dettagli insignificanti che non avrebbero di certo cambiato la vita ai personaggi, né a me), quanto piuttosto un limite che costringe ad andare al di là della lettura. Costringe a vedere solo l'essenziale, a seguire la parabola dell'autore, chiara e netta.

Secondo fatto rilevante che è una garanzia, non un disclaimer (come nel caso precedente): i personaggi. Tutti bizzarri, particolari, unici nel loro genere. L'autore liquida spesso le descrizioni "essenziali" in poche pagine ma lo fa in una maniera talmente precisa ed incisiva che rimangono stampati in testa e non c'è modo per cancellarli.
Mi viene in mente la hippy sfiorita di Northampton accompagnata dal suo pretendente strabico e dall'amante finto intellettuale, o ancora il nipotino in cerca di se stesso in Altra matematica, o Solomon Silverfish e la sua livida compagna calva, Sophie Schoenweiss. Ogni personaggio è un pezzo dell'autore, come senz'altro accade per tutti i buoni autori, ma qui è evidente perché tutte le sue creature sono fragili, vulnerabili e dingliane (dal nome di Barry Dingle, personaggio di D.F.W.; "tendenza alla passività e alla muta paura acquisita a caro prezzo") quanto l'autore.
Si potrebbe dire che sono problematici, ma è un po' generico e forse anche inesatto. Essere problematico presuppone un problema ed una soluzione, ma venendo a mancare un problema ben definito (e di conseguenza la soluzione), il significato crolla. Sono personaggi umani e tormentati, con problemi ordinari e caratteri straordinari.
 La profondità con cui l'autore sonda le loro interiorità è sconvolgente. David Foster Wallace tratta questioni generalissime che toccano ognuno di noi: la malattia, la morte, l'amore, la ricerca di se stessi e della propria identità, la perdita dei valori (che assume una dimensione globale in Crollo del '69 con un ragazzo in grado di prevedere l'esatto contrario di ciò che avverrà). Infine la depressione, così amaramente dissezionata nel racconto che prediligo: Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta.
Fu proprio "La Cosa Brutta" a portare l'autore ad impiccarsi il 12 ottobre 2008. E' stato, purtroppo, questo suo forte sentire a dare linfa vitale alla sua produzione. Ma su quest'ultimo racconto vorrei spendere più parole la prossima volta, per ora mi limito a lasciare una citazione fra le tantissime che hanno lasciato il segno:

"Solomon ha giocato con la malattia della moglie in quel modo frenetico che ha di giocare con tutte le cose che lo toccano nel profondo. La prendeva in giro e la torturava. Accusava una Sophie radiografica di obesità dirompente. Le tirava l'orecchio reggendole la testa sopra il water. Si lamentava a gran voce dell'umidore salato che sentiva in bocca quando di notte le baciava le lacrime silenziose di un dolore silenzioso. Pasticciava con le sue parrucche. (...) Certe volte usava il vuoto lasciato da un seno per poggiare il mezzo melone della colazione a letto, il mattino. Sophie sa che a un estraneo può sembrare poco gentile. Essendo sua moglie da anni sa anche che Solomon riserva la gentilezza a chi secondo lui ne ha bisogno perché è messo male. Diventa gentile con qualcuno quando gli dispiace per lui. E a Sophie Solomon non farebbe mai il torto di dispiacersi per lei. (...) Ecco perché, pensò Sophie, il suo Solomon era una persona magica ora più che mai, e perché nel suo animo c'era tanto di quell'amore per lui da salvarla anche ora che era mortalmente malata. E' una cosa difficile da afferrare, il percome delle cose. Durante tutto questo brutto periodo Solomon ha fatto sentire e capire a Sophie che lei è la malata, non la malattia"