giovedì 21 marzo 2013

L'approccio sbagliato

Buona sera (o quasi buona notte).
Dopo questa bellissima giornata primaverile m'è tornato in mente (come un'illuminazione dall'alto, amen) un articolo che avevo letto tempo fa e che mi aveva "aperto un mondo". L'articolo è questo, scritto da Giacomo Sartori, di cui non ho letto praticamente nulla se non brevi articoli sul blog collettivo "Nazione Indiana". Già il titolo dovrebbe incuriosire -o almeno con me aveva funzionato- perché esordisce in maniera provocatoria con: "La stupidità degli scrittori". Temo che molti non abbiano voglia di proseguire nella lettura, dopo avervi propinato un articolo così leggero e così corto (sento già le vostre dita che guidano la freccetta del mouse verso l'uscita d'emergenza). Ma insisto nel mio essere fastidiosa e riassumo all'osso la sua tesi.

Secondo Sartori, i migliori scrittori hanno intelligenza mediocre ed originalità che, non indifferente, è frutto dei loro difetti di carattere; prosegue dicendo che se fossero tutti intelligentissimi e perfetti, si ridurrebbero a scrivere speculazioni filosofiche ed incomprensibili, facendo solo vanto della propria erudizione. Come potrei non essere d'accordo? Essere scrittore non significa mostrare quanto si sappia di una disciplina piuttosto che di un'altra perché di questo, al lettore medio, non frega proprio nulla (a meno che non si tratti di ricerche, ed allora sì che ci servono i sapientoni).

Ma sorvoliamo su questi aspetti che, seppur interessanti, sono marginali rispetto alla riflessione che vorrei fare. A metà dell'articolo, il nostro Sartori dichiara che: "Quello che viene impropriamente chiamato genio è in realtà il pedissequo frutto di uno squilibrio, un riuscito dosaggio di doti e tare", e riporta (con mio grandissimo piacere) alcuni grandi autori affiancati da una caratteristica o un difetto che li rendano davvero tipici, davvero loro. Non dice di Dante che è stato il fondatore della letteratura italiana e che senza di lui non avremmo certamente le Lettere, così come le conosciamo oggi (ed io sono davvero stanca di avere definizioni simili in tutte le antologie che mi propinano, con tutto il rispetto per il signor Alighieri) perché non direbbe nulla di concreto. Dice piuttosto che è: "un bigotto pedantone con il dente avvelenato". Ed allora sorrido. Non perché Dante non mi vada particolarmente a genio (sì), ma perché finalmente me lo riesco ad immaginare come persona, non come entità astratta (vi invito a leggere anche gli altri scrittori, tutti abbozzati in maniera ironica e piacevole).
Comunque, eccoci all'input. L'ammirazione che ho provato per Sartori nelle scarse righe (d'altronde non poteva mica scrivere la Divina Commedia!) che ha dedicato alle personalità degli scrittori, in realtà s'è rivelata gratitudine. Perché, per la prima volta, dopo anni di antologie noiosissime che reiteravano definizioni pompose di elogio/critica, qualcuno mi parla di un autore in maniera umana, mi fa capire che dietro a quelle opere (che possono piacere o non piacere, appassionare o annoiare) c'è un uomo, con una personalità ben definita e magari alcune peculiarità. In sostanza: mi fa conoscere lo scrittore. Ciò che le antologie non fanno (e spesso nemmeno i professori) è stabilire un contatto reale con lo scrittore, con la sua personalità. Io mi appassiono in maniera viscerale di uno scrittore quando so, per esempio, che ha fatto esperienze che io stessa vorrei fare, quando s'è distinto per irascibilità o sensibilità. Parto con pregiudizi (positivi, ma pur sempre tali) e riscopro con maggiore interesse la sua letteratura, la sua poesia. Lo ricollego alle opere, lo vedo scrivere, arrabbiarsi e pubblicarsi da anonimo, nascondersi dietro circoli letterari, ubriacarsi, soffrire per amore, fare viaggi da vagabondo. Ossia, lo vedo rivivere nelle sue opere, in ciò che ci ha lasciato.

Si capisce allora -seguendo "l'approccio sbagliato" delle antologie- perché le persone odino studiare letteratura e le vite degli autori (che noia, perché mi devo imparare ogni singolo viaggio, ogni rivista in cui è stato pubblicato?). Ciò che manca è la prospettiva per capire l'autore, qualche aneddoto, qualche curiosità (meglio se una "tara") che ce lo faccia avere in simpatia o antipatia, che permetta un legame fra persona e persona, non studente frustrato e persona X che ha scritto l'opera Y. Al di là dell'arte c'è sempre uno scrittore, scultore, pittore, ma prima di tutto una persona. Non deve quindi essere un rapporto asettico, come risulta nella maggior parte dei casi. Ciò che dimentichiamo (in generale, ma io punto il dito sempre sui critici, fatemi ricredere, per me è un'antipatia davvero sentita) è che quei nomi scritti sulle copertine dei libri non sono solo lettere ma rappresentano un'identità, una persona che in un lontano 1500 potevi incontrare per strada, in campagna, o nella corte ferrarese, e così via.

Le biografie storiche (ma anche romanzate) degli autori sono un ottimo modo, a mio parere, di stabilire un contatto coi "barbosi" scrittori che troviamo sulle antologie, insipidi ed insignificanti. Leggendone magari gli amori, le avventure, le delusioni, le pazzie (e per gli scrittori ce ne sono tantissime!) ci sentiremo loro compagni e magari anche amici, non anonimi studenti succubi dei loro versi e delle loro trame infinite. Cammineremo di pari passo con loro, parleremo, berremo un bicchiere di vino al loro tavolo, li vedremo inveire e lottare. Ecco ciò che io intendo quando dico a qualcuno che devo ancora "entrare nell'ottica" dello scrittore (risultando magari stupida, ma ci sono tantissime occasioni in cui lo sembro) per poterlo giudicare. Devo semplicemente conoscerlo. E forse dovremmo tutti.

domenica 17 marzo 2013

Mi presento

Salve.
Questo dovrebbe essere un post importante. Tanto vale, so a malapena cosa scrivere. L'ideale sarebbe dire chi sono, per chi non mi conoscesse. Allora dico che mi chiamo Flavia, (Flavague nelle poche realtà virtuali che frequento), 19 anni, studentessa di Lingue e Letterature straniere moderne. Parlare di me in questi termini sarebbe come identificare una nicchia di persone che, come me, frequentano questa facoltà, hanno i miei stessi anni e si chiamano Flavia. Sarebbe a dire: niente. Ci saranno almeno 5000 persone che corrispondono a questi criteri, ed anche il numero è poco significativo (decisamente improvvisato).

Parliamo quindi di qualcosa di più serio, giusto per riuscire a capire perché diavolo sto scrivendo qui, su una piattaforma virtuale che oso utilizzare. Sono una persona molto curiosa, dote utile, non eccessivamente creativa (capacità che mi sarebbe decisamente molto più utile) e troppo seria. Ed è proprio questo il problema: la serietà a lungo andare finisce per fossilizzarsi e diventare un groviglio di noia e -no- io non voglio affatto diventare una persona noiosa.

 L'autoironia mi appartiene, ma in una maniera decisamente distruttiva (pensate ad un monologo fra due parti che si danno contro, che si insultano con sorriso sghembo ed amaro, mentre il pubblico che le guarda ride di gusto, credendo fermamente che quel cabaret sia solo una messinscena, che gli insulti non siano veri: no, mi spiace, così non è). Ed ora, in questo momento di blocco creativo (l'incubo del foglio bianco di ogni scrittore!), mi è sembrato il caso di togliere questa maschera da persona seria, finta intellettuale ed accanita ficcanaso per dare un senso alle mie parole, o almeno provarci.
Il gatto fa le fusa accanto a me. Che noia, mi dico. Anche nel tentativo di sembrare una persona affabile risulto essere decisamente seria e didascalica.

Che altro? Mi piace scrivere, davvero tanto, e non me la cavo troppo male (o almeno questo è ciò che mi è stato detto dai poveri beta readers che ho assillato). Scrivo poesie, racconti, frammenti ed ho iniziato da poco un romanzo (che per ora non ha ancora l'onore di poter essere definito tale). Ma voglio anche scrivere di me perché uno (pseudo)scrittore che non riflette su se stesso è decisamente un pessimo scrittore. Rischierebbe invece di diventare un pedante erudito, rinchiuso fra le alte pile dei propri libri, incapace di alzare lo sguardo verso la finestra. Nel mio caso, questa finestra non dà solo sul giardino - fra poco è primavera e sarà uno spettacolo- ma soprattutto sul mio mondo interiore. Pensate alla finestra della Woolf, intesa proprio come simbolo dell'interiorità, come piccolo contatto fra il proprio io ed il resto del mondo, come sguardo su di sé. Nel tentativo di esorcizzare questa prospettiva mi dedico all'autoanalisi, davanti ad un pubblico di anonimi lettori.

Non garantisco nulla di buono, anche se ho moltissime idee per la testa. Mi piacerebbe condividere opere, parole, immagini, persone-autori che mi hanno particolarmente colpita e che vorrei far scoprire a più persone possibili. Sfruttare questo aspetto di Internet (che forse non è solo utile per stalkerare e guardare video idioti) mi dà decisamente molta soddisfazione, mi fa sentire meno pigra e perdigiorno, soprattutto quando rimango inchiodata per ore davanti ad uno schermo. Potreste vedere questo blog come un pretesto -e forse lo è- ma che importa se mi aiuta?

Un autoinganno come tanti altri, d'altronde non è un caso che io ami così tanto soffermarmi su questo aspetto: Svevo ed il suo Zeno lo hanno ben dimostrato. Ed in quanto sveviana (convinta) non mi voglio smentire. Ma tornerò a parlare di Svevo e dei suoi adorabili personaggi al più presto, nel tentativo di fare proselitismo.

Per ora direi che può bastare, spero di non aver abusato del vostro tempo. Il gatto intanto ha dormito per un'ora, s'è svegliato e s'è impossessato temporaneamente della mia tastiera. E' decisamente difficile parlare e scrivere di se stessi, ancora di più se una palla di pelo cerca di mettere un freno ai miei migliori propositi.
A presto.