venerdì 5 aprile 2013

Gavroche

M'ero ripromessa di essere regolare e costante nei miei impegni ma, come sempre, non sembro esserne in grado (non l'avrei mai detto?). Torno a quest'ora indecente per mettere in rete un testo tradotto che merita di essere considerato (ed ancora riconsiderato all'infinito, come tutti i classici). Grazie al capolavoro di Tom Hooper "Les misérables" (sarà un titolo con cui vi assillerò, ne son certa) , che ha origini ben più illustri, m'è tornato alla mano il magnifico mattone di Hugo. Ed uno dei passi più commoventi è la morte del piccolo Gavroche, il "pigmeo" che prese parte alle insurrezioni del 1832. Un gran bel periodo per gli idealisti. In rete non ci sono traduzioni in italiano, ed è un gran peccato, perciò sono molto contenta di poterlo presentare. Non aspettatevi granché però, è una traduzione amatoriale, spero solo di esser riuscita ad esprimere al massimo la metà (meglio dire un quarto?) dell'emozione che Hugo ha impiegato nella stesura. Tengo a precisare che le brevi strofe cantate da Gavroche sono molto musicali (ed in rima) solo in lingua originale, in italiano non riescono a mantenere le rime, con la sola eccezione della prima.

In ogni caso, buona lettura!

"A furia d'andare avanti, giunse al punto in cui il fumo della sparatoria diventava trasparente.I fucilieri della linea messi in fila, all'affuso dietro la sollevazione del lastricato, ed i fucilieri della periferia ammassati all'angolo della strada, improvvisamente si mostrarono a vicenda qualcosa che si agitava nel fumo. Nel momento in cui Gavroche stava privando un sergente, che giaceva al limite della barricata, delle sue cartucce, una pallottola colpì il cadavere.
- Diamine! disse Gavroche. Ecco che mi ammazzano i morti.

Una seconda pallottola fece brillare il selciato vicino a lui. Una terza fece capovolgere il suo cesto. Gavroche osservò e vide che proveniva dalla banlieue.
Si drizzò in piedi, i capelli al vento, le mani sulle anche, l'occhio fisso sulle guardie nazionali che tiravano, e si mise a cantare:

Siamo brutti a Nanterre,
E la colpa è di Voltaire,
Siamo bestie a Palaiseau,
E la colpa è di Rousseau.


Poi raccolse il suo cestino e ci rimise, senza perderne nemmeno una, tutte le cartucce che erano cadute e, avanzando verso la sparatoria, andò a svuotare un'altra giberna*. Lì, una quarta pallottola lo mancò ancora. Gavroche cantò:

Non sono notaio,
E la colpa è di Voltaire,
Sono un piccolo rapace,
E la colpa è di Rousseau.


Una quinta pallottola riuscì solo a tirar fuori da lui una terza strofa:

La gioia è il mio carattere,
E la colpa è di Voltaire,
La miseria è il mio corredo,
E la colpa è di Rousseau.


Andò avanti così per un po' di tempo.
Lo spettacolo era spaventoso ed affascinante al contempo. Gavroche, fucilato, provocava la scarica dei proiettili. Aveva l'aria di divertirsi molto. Era il passero che beccava i cacciatori. Rispondeva ad ogni scarica di proiettili con una strofa. Lo prendevano di mira in continuazione, lo mancavano sempre. Le guardie nazionali ed i soldati ridevano mentre lo rimettevano nel mirino. Si sdraiava, poi si rimetteva in piedi, si manteneva nell'ombra dello stipite di una porta, poi saltava fuori, scompariva, ricompariva, si salvava, tornava, rispondeva ai colpi con una pernacchia e nel frattempo rubava le cartucce, svuotava le giberne e riempiva il suo cesto. Gli insorti, affannati per l'ansia, lo seguivano con gli occhi. La barricata tremava; lui invece cantava. Non era un bambino, non era un uomo; era uno strano monello fatato. Si direbbe il nano invincibile della mischia. Le pallottole correvano dietro di lui, lui era più veloce di loro. Giocava a non so quale spaventoso nascondino con la morte; ogni volta che il volto della morte si avvicinava, il ragazzino gli dava un colpo. Tuttavia un proiettile, più mirato o più traditore degli altri, finì per raggiungere il bambino con l'argento vivo addosso. Gavroche barcollò, poi si accasciò. Tutta la barricata emise un grido; ma c'era del sangue di Antea [gigante mitologico che ritrovava la sua forza nella terra] nel pigmeo; per il ragazzino toccare il lastricato è come per il gigante toccare la terra; Gavroche era caduto solo per rialzarsi; rimase seduto, un lungo rivolo di sangue rigava il suo volto, alzò entrambe le braccia in aria, guardò nella direzione da cui era arrivato il colpo, e si mise a cantare:

Sono caduto per terra,
E la colpa è di Voltaire,
Il naso nel ruscello,
E la colpa è di...


Non riuscì mai a finirla. Una seconda pallottola dallo stesso fuciliere tagliò corto. Questa volta la faccia cadde al suolo e non si mosse più. La piccola grande anima s'era appena alzata in volo."

(Spero di tornare presto)

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