venerdì 12 aprile 2013

Gli strani effetti del sonno

Questo per me è un momento di estrema noia ed avendo a disposizione un foglio virtuale su cui scrivere (e che tutti potranno leggere! Non pensavo di poter esser tanto sicura di me), mi accingo a farlo. Premetto di non avere qualche bella idea da sfoggiare, qualcosa da consigliare (o pubblicizzare); il che contrasta nettamente con l'immagine che do di me, una sorta di venditrice ambulante- pubblicità occulta di tutto ciò che mi piace. Mi sto riferendo alla tendenza a parlare di libri che leggo, film che guardo e che mi piacciono o perché no, quando e come, chi, perché lo devi guardare (...) perdendomi in monologhi noiosissimi, per poi trovare lo sguardo del mio interlocutore fermo ad un "ma chi te l'ha chiesto, scusa?". Ma sorvoliamo.

Che scopo ha questo mio scrivere? Non lo so, e ve lo dico col cuore. La mia ossessione di voler scrivere di me per cercare di trovare chissà quale tesoro nascosto sedimentato nella mia interiorità (che poi dovrei già conoscere, almeno in parte, dato che ci vivo insieme da quasi vent'anni?) è preoccupante. Un'ossessione che praticamente la maggior parte degli scrittori dopo il Romanticismo (la febbre dell'interiorità, le confessioni, i diari personali; fossi vissuta a quel tempo avrei pompato la mia immagine all'inverosimile!) continua a mantenere perché, in fondo, cosa c'è di più interessante di noi stessi? Insomma, narcisismo allo stato puro, ecco ciò che accomuna una larga percentuale degli intellettuali. Ancora peggio se pensiamo che praticamente tutte le opere nascono da moti interiori e da fatti meramente autobiografici. Siamo ossessionati dall'idea di noi stessi, come se fossimo speciali ed avessimo sempre qualcosa da dire. 

Dovrei andare a dormire, ne sono fin troppo consapevole, ma mi sto divertendo molto a lasciarmi trasportare dai primi pensieri che mi capitano per la testa, incontrollati e sconnessi. Queste idee, così allo stato embrionale, in fondo sono il tesoro, la materia prima su cui gli scrittori lavorano, che limano con maniacale e materna attenzione, evitando il rischio di smussare troppo gli angoli o enfatizzare troppo alcuni aspetti. Poveri scrittori, sempre così prudenti, in perenne stato di chi va là, per non risultare sgradevoli o eccessivi ai propri occhi e soprattutto a quelli degli altri. Ho fatto attenzione, solo ultimamente e solo grazie alla Woolf (ma non dirò perché e come sto leggendo quel suo libro piuttosto che un altro, etc.), a quest'ultimo aspetto.

Gli artisti spesso sono sensibili (oppure montati e sbarellati, ma questa è un'altra faccenda) ed è forse per questo che si sentono ancora più spesso tagliati fuori dal mondo (dovrei fare un disclaimer lunghissimo dicendo che bisogna però fare attenzione ai periodi storici perché, ad esempio, in tempo di guerra molti artisti invece sono integratissimi e portano avanti battaglie ideologiche- ma fingiamo di saperlo già). Eppure da parte degli artisti c'è sempre un atteggiamento di cieca sottomissione, continua ricerca di piacere a qualcuno (un pubblico si direbbe, ma non necessariamente, a volte ambiscono solo al riconoscimento da parte di un gruppo limitato di persone per sentirsi "parte" di qualcosa). Più si sentono respinti o indifferenti alla società e più cercano di avvicinarsi, di dimostrare che valgono qualcosa. Hanno perso l'aureola, certo, ma pretendono almeno una corona di cartone (perdonate l'immagine, è orribile, ma ho il cervello in stand-by e non mi viene di meglio).

Poi però, mi dico, ci sono anche le epoche in cui l'integrazione non è più minimamente possibile ed allora, i poeti in particolare, si piangono addosso affidandosi al passato oppure reagiscono con un atteggiamento del tipo: "Se non posso essere come vogliono loro, allora sarò qualcos'altro" (e quasi sempre questo "altro" vuole essere una provocazione, perciò riprendono esattamente l'archetipo sociale per eccellenza e lo ribaltano). E' straordinario vedere come ogni atteggiamento umano - intendo presente in tutti i comuni mortali -sia però potenziato all'ennesima potenza dalla maggior parte degli artisti. E' un bisogno viscerale

Anche quando si trovano sul ciglio della strada e non hanno pane e sanno di aver fallito, da bravi idealisti quali sono ("meno male" che gli ideali fra gli artisti siano così forti ed intensi) non si mettono a cercare un'occupazione che possa garantire loro un pasto caldo, ma si lasciano morire come cani. Relitti di ideali e vergogna. Bella l'arte, un po' meno belli gli artisti (ma è forse proprio questo che li rende sovrumani?). Io, stupidamente, rimango sempre affascinata da quest'immagine di estrema decadenza che però ha un valore inestimabile: contiene un retroscena di rifiuti di compromessi in nome di ideali assoluti che la corporeità (in senso lato: la società) non può in nessun modo intaccare. Sovrumani.

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